LA CURIOSITA’ UCCISE IL GATTO…MA NON L’IMPRESA !

LA CURIOSITA’ UCCISE IL GATTO…MA NON L’IMPRESA !

Il proverbio, richiamato persino in #‘Pinocchio’ come invito alla moderazione e alla prudenza, comparso per la prima volta nel 1873 in una raccolta di #detti popolari inglesi, è di origine irlandese, ed ha un significato metaforico preciso: essere troppo curiosi rischia di far ficcare il naso dove non si dovrebbe. Il riferimento al gatto, poi, è immediato dato che l’animale, anche da adulto, è solito ficcare il muso dappertutto, riuscendo spesso a cacciarsi nei guai.

In realtà, il detto non finisce così come è conosciuto perché l’intera frase recita: ‘La curiosità uccise il gatto, ma la soddisfazione lo riportò in vita’. In effetti, la curiosità è una caratteristica positiva. Se siamo arrivati ai giorni nostri, lo dobbiamo ai ‘visionari’, coloro che, ascoltando la vocina interiore della curiosità, hanno visto in anticipo ciò che ancora non c’era, e l’hanno creato. Alla lunga, la curiosità rappresenta davvero l’elemento-chiave della sopravvivenza.

Ciò vale anche per le imprese.

Allenarsi – ed allenare i propri team – alla curiosità è un compito che tutti i leader dovrebbero mettere al primo posto. Ad oggi non è ancora così. Chi lo dice, non lo fa – o non lo fa sempre – e questo perché il timore che ciò comporti aumento di rischi e inefficienza è grande. Ne consegue che si privilegia ancora lo status quo e il rispetto di quanto già codificato (‘abbiamo sempre fatto così’) a danno dell’esplorazione.

Ma è un errore.

Stimolare la curiosità in azienda porta con sé diversi vantaggi. Innanzitutto elimina il c.d. ‘pregiudizio confermativo’ – la tendenza a cercare conferma delle proprie convinzioni piuttosto che indagare errori -, l’autoreferenzialità e la connessione con stereotipi, obbliga a cercare alternative e favorisce la creatività. Quando siamo allenati alla curiosità si osservano più creativamente le situazioni difficili, si riduce lo stress e l’aggressività, si diminuiscono i conflitti e si migliora il clima aziendale.

Ma, concretamente, come si fa a stimolare la curiosità ?

Fare della curiosità un elemento di selezione – Un cartello anonimo su una strada di grande comunicazione nella #Silicon Valley chiedeva di individuare ‘il primo numero primo di dieci cifre che si trova in cifre consecutive di e).com’, rimandando on line ad una equazione da risolvere. Chi riusciva poteva inviare il proprio CV…perché Google gestisce l’azienda ‘in base a domande, non a risposte’. #Ideo invita i candidati dotati di alte competenze tecniche a sviluppare collaborazione e cooperazione interdisciplinare, favorendo cambiamento di prospettiva e interesse per altre discipline (empatia e curiosità).

Manifestare spirito indagatore – Lo strumento più potente è sempre il solito: fare domande. Il nuovo direttore generale della #BBC, in viaggio presso le diverse sedi per presentarsi a seguito della nomina, anziché raccontare la propria storia, chiedeva sempre quale fosse la cosa che lui stesso potesse fare per aumentare la soddisfazione dei dipendenti e, secondo loro, quella dei telespettatori. Ogni testo di management, In condizioni ordinarie e, ancor più, in tempi di crisi, consiglia di passare immediatamente all’azione. Questo è un buon consiglio, ma solo se prima si sono fatte le domande giuste, quelle che servono davvero, per ascoltare le quali bisogna prendersi il tempo necessario. Un simile atteggiamento aumenta identificazione e leadership, ma per assumerlo serve un paradigma adeguato. Purtroppo, più si sale in carriera, più aumentano seniority ed expertise, più i leader si convincono di aver sempre meno da imparare e sempre meno è il tempo che si prendono per fare domande e per ascoltare e, quindi, proprio per questo, si convincono che il loro compito sia quello di dare risposte piuttosto che fare domande. E questa convinzione ingigantisce il problema.

Adottando il nuovo paradigma, leader e dipendenti possono scoprire il potere e il beneficio contenuto nella volontà di esplorare. La curiosità vince sulla presunzione e sull’arroganza, e l’umiltà sospende il giudizio.

#Co(ntinuo)-Co(stante)-Mi(glioramento), Kai-Zen – Quando gli fu chiesto come avesse potuto ammarare in sicurezza col proprio aereo su fiume #Hudson, #Chesley ‘Sully’ Sullenberger raccontò di quanto spesso si poneva la domanda: ‘Cosa posso imparare ancora per farmi trovare pronto ?’ per soddisfare la sua passione di conoscere tutto ciò che riguardava il suo mestiere. E’ stato così che, quando si è presentato l’imprevedibile #cigno nero dell’emergenza, ha considerato nel set delle opzioni disponibili quella estremamente creativa per tutti – ma ovvia per lui – di ammarare sul fiume, scartando quella più ovvia per tutti di atterrare in aeroporto.

Quando siamo presi di sorpresa, quando non ‘abbiamo tempo per pensare’, prendiamo quelle decisioni che ci sembrano istintivamente le migliori perché legate ad esperienze già consolidate che leggiamo come simili, ma che, proprio perché solo simili – e quindi diverse – non fanno esattamente al caso specifico. Con l’abitudine all’apprendimento continuo, invece, si riesce a trasformare il proprio #zoom in #grandangolo con la conseguenza che le scelte si ampliano naturalmente e si creano opzioni nuove, che spesso sono quelle che ci salvano.

Grazie a questa abitudine, nei 208 secondi intercorsi fra l’emergenza e l’ammaraggio, ‘Sully’ ha passato in rassegna tutte le opzioni possibili, e ha scelto la più sicura, dato che la perdita di potenza dei motori non avrebbe consentito di raggiungere l’aeroporto. Se non avesse contemplato questa ipotesi, il ‘pregiudizio confermativo’ avrebbe generato tutt’altro risultato.

Morale: concentrarsi su obiettivi di apprendimento garantisce sopravvivenza perché sviluppa competenze eterogenee, allena a prevedere l’imprevedibile, stimola la creatività, rende concreto il problem solving. Oggi le aziende sono troppo focalizzate su obiettivi di performance che però – anche quando sono raggiunti – non comportano una vera crescita perché si limitano a dimostrare competenze note e far fare bella figura ai manager.

Prendere spunto da #Pixar, che ha inventato l’esercizio del ‘plussing’. E’ un nuovo paradigma che parte dalla domanda: ‘Cosa accadrebbe se….?’, e da qui in poi ognuno aggiunge il proprio ‘plus’, realizzando alla fine un percorso esplorativo che spesso genera risultati inaspettati…e tutti crescono, con piena e reciproca soddisfazione.

Libertà di esplorazione – Quando un operaio fu visto uscire dalla fabbrica con una borsa piena di pezzi di ferro e di meccanismi, ne venne chiesto il licenziamento, ma #Adriano Olivetti decise di credere alle parole del suo uomo che, non avendo tempo di farlo durante il lavoro, si portava i pezzi a casa per poter nel week end elaborare alcune idee per costruire una macchina nuova. Nacque così la #‘Divisumma’, il primo calcolatore elettronico, e l’uomo fu nominato Direttore Tecnico.

Molti leader considerano la formazione una spesa, anziché un investimento, e temono che le persone, una volta formate, fuggano verso i competitor, costringendo l’azienda a ripartire da zero nel formare i c.d. ‘key men’. Questi leader hanno un atteggiamento critico verso la formazione: si chiedono quanto costi farla, senza comprendere che l’errore sta proprio nella domanda, che è mal posta: serve infatti chiedersi quanto costi non farla.

Le persone curiose, se formate, diventano eccellenti performer, assumono volontariamente il ruolo di alleati, diventano tutori del sistema, aiutano a cambiare la cultura aziendale diventandone i divulgatori: sono gli ambasciatori del cambiamento trasformazionale che si realizza quando si passa dal paradigma basato sul dare buone risposte a quello di porre delle buone domande.

Meglio formare le persone e lasciarle andare che non formarle e tenerle in casa.”

(Gail Jackson, CHR di United Technology Corp.)