Il Primo Segreto del Golf

Il Primo Segreto del Golf

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“Rendi ogni cosa più semplice. Ma non di più.”                                                                         (A. Einstein)

Nella mia pluriennale esperienza professionale ho avuto l’opportunità di progettare molti percorsi di formazione esperienziale# per aziende. Uno molto interessante, sviluppato circa quindici anni fa per una multinazionale, aveva come tema il processo decisionale (decision making).

L’obiettivo era quello di implementare ed ottimizzare le capacità decisionali affinché, in un’ottica di sistema, i dirigenti riuscissero a prendere più velocemente decisioni più giuste.

Il ‘più velocemente e più giuste’ non si riferiva solo a chi era deputato a prenderle, ma a tutta la filiera dei protagonisti dell’azienda intesa come struttura viva: risorse e funzioni, collaboratori e dipendenti, stakeholder, sindacati, pubblico in senso lato, già clienti e prospect, clima ed immagine aziendale.

Essendo queste figure portatrici di interessi spesso contrastanti, l’impresa si presentava molto ardua.

In più, le difficoltà erano rese ancora maggiori dal fatto che il progetto, da costruire con taglio molto concreto e pragmatico, aveva come focus quello di declinare in chiave aziendale i concetti connessi al golf – attività esperienziale scelta come metafora – ed io del golf non sapevo proprio niente.

Consideravo il golf solo un gioco praticato da ricchi, troppo soft, senza adrenalina, né pathos, senza sudore, né fatica, troppo distante dalle dinamiche di uno sport vero. Per un ex calciatore professionista come me, abituato a calci e spinte, contrasti e gomitate, niente poteva essere più lontano.

Per mia naturale forma mentis, la massima ‘non puoi trasmettere ad altri quello che non hai mai fatto o che non sei disposto a fare’ è per me una regola di vita che stimola la mia curiosità di sperimentare ed esplorare che applico anche nella mia professionale considerandola, in questo ambito, un importante indice di lealtà intellettuale. E’ per questo motivo che, prima di ogni evento, colgo sempre ogni utile occasione per fare esperienza di ciò che poi dovrò sviluppare concretamente per i clienti.

Per cui, anche questa volta, prima di iniziare a mettere il progetto nero su bianco, mi sono avvicinato al golf: ho preso qualche lezione sul campo pratica, ho iniziato a seguire in TV qualche gara per studiare gli atteggiamenti dei golfisti, mi sono visto qualche film e mi sono anche dedicato alla lettura di qualche testo che potesse accelerare il mio processo di conoscenza e apprendimento, tecnico e mentale, anche se – onestamente – ho fatto tutto ciò con pregiudizievole supponenza, vittima del mio ‘secondo me’.

Credo sia anche per questo che ho ricevuto l’illuminazione.

Mi riferisco in particolare ad un piccolo libro(*), neanche troppo conosciuto, scritto da un coach americano appassionato giocatore di golf(*), il quale, molto concretamente, riuscendo ad unire uno spiccato e ben allenato pensiero laterale ad un’intelligente capacità divulgativa, ha enucleato tre principi-chiave del golf che, per la loro illuminante semplicità, ho percepito come verità assolute immediatamente applicabili, non solo in chiave aziendale, ma nella vita in generale.

La cosa principale è far restare principale la cosa principale’.

Può sembrare un ‘truismo’, un’ovvietà o anche uno scioglilingua, ma, in realtà, questo primo segreto racchiude davvero uno dei principi più importanti per un corretto ed efficace processo decisionale.

Per farlo comprendere, Gay Hendricks#(*) usa una metafora efficacissima.

Nel golf, il primo colpo – ‘driver’ – quello con cui si inizia l’avvicinamento ad ogni buca – ‘green’ – si fa mettendo la pallina sul ‘tee’, un chiodo di legno che, piantato nel terreno per tenere rialzata la pallina, ne agevola l’impatto col bastone.

Il movimento ondulatorio del golfista – swing – inizia da dove si trova il tee, continua salendo verso la spalla per caricare il colpo – ‘backswing’o caricamento – e, ridiscendendo – ‘downswing’o discesa – si conclude all’altezza dell’altra spalla.

Se ben eseguito, dopo aver colpito la pallina.

Per riuscire a mantenere corretta la linea di oscillazione – come un pendolo che guida il bastone – è necessario costringersi a tenere lo sguardo fisso sulla pallina, in modo che il backswing venga eseguito muovendo solo le braccia e tenendo fermo il busto di fronte al tee.

Si tratta di un movimento non proprio naturale visto che, di solito, quando si muovono le braccia anche il busto accompagna il movimento, ma nel golf questo è considerato un movimento ‘sporco’ perché modifica la traiettoria del bastone, con la conseguenza che, di solito, in questi casi si fa un liscio o si ‘zappa’ la terra – e la pallina resta dov’è – oppure, se si riesce comunque a colpirla, lo si fa in modo – appunto – sporco, e la pallina striscia per terra finendo a pochi metri di distanza.

In ogni caso, niente di ciò che avevamo in testa va come avremmo voluto.

Per chi si avvicina al golf, se sbagliare il colpo è frustrante, imparare lo swing è una vera e propria dannazione. Per riuscirci, molti acquistano ‘legni, ferri e putter’ di ultimissima generazione, sperando che la tecnologia risolva, ma non è così.

Sappiamo bene che ‘qualcosa che sta fuori di noi non potrà mai essere responsabile di qualcosa che sta dentro di noi’. Ovvio, no ?

Quindi: come si può imparare la corretta esecuzione dello swing ? Come si può rendere indipendente il movimento delle braccia dal naturale accompagnamento dello sguardo e del busto avendo la certezza che così si colpirà la pallina ?

Semplice: basta affidarsi al primo segreto.

Hendricks docet: posizionati esattamente di fronte alla pallina sul tee – ‘addressati’ – inizia il backswing mantenendo lo sguardo sulla pallina, continua a guardarla mentre discendi e, una volta colpita, guarda ancora il tee per verificare che la pallina non ci sia più e solo allora, concludendo il tuo splendido swing, inizia a seguire la traiettoria della pallina per scoprire dove va.

In questo modo, busto fermo, gambe leggermente piegate ben piantate a terra, sguardo sulla pallina senza pre-occuparsi di dove andrà, né pensare a dover muovere solo le braccia, si otterrà il risultato desiderato, e ciò sarà accaduto semplicemente perché la procedura è stata eseguita in modo corretto e fluido, senza sporcare il colpo. Basta assicurarsi di far bene il movimento.

Il primo segreto è proprio questo: far restare principale la cosa principale, che significa:

Concentrati sul completamento, e il lavoro si farà da sé’.

Il più grande errore nel golf è quello di spostare l’attenzione e sbirciare per vedere dove andrà la pallina prima di aver concluso il movimento. Finché non ci si accorge che la pallina non è più sul tee, non c’è altro che abbia importanza, e cosa succederà subito dopo non interessa. La pallina andrà nel posto giusto solo se il movimento sarà ben fatto.

Quindi, l’imperativo è: concentrarsi sul movimento. Solo la sua corretta e completa esecuzione dà la sicurezza di aver completato il lavoro. Solo accorgendosi che la pallina non c’è più si è sicuri di aver portato a termine il compito principale: quello di averla colpita.

Nel golf funziona così, e non solo nel golf. Funziona così in ogni ambito: nelle relazioni, negli affari, in azienda, cioè nella vita.

Il più grande errore è sempre il solito: quello di non completare un’azione prima di passare alla successiva o di rivolgere l’attenzione al risultato. Bisogna vincere l’abitudine di lasciar deviare la concentrazione e mantenerla sul compito essenziale per completarlo perché solo la completezza riduce al minimo il rischio che l’azione in corso porti risultati non voluti.

Anche se non possiamo controllare completamente il risultato, possiamo comunque controllare l’esecuzione dell’azione che porta al risultato. Prendersene cura ci permette di influire consapevolmente su ciò che vogliamo ottenere.

Mantieni l’attenzione sul processo essenziale finché non è completato prima di passare alla cosa essenziale successiva. Finisci il lavoro. Solo dopo pensa al risultato, altrimenti sarai nei guai. Avrai dispersioni e sprechi e il risultato non solo non arriverà, ma – cosa più grave – non saprai nemmeno perché. Nel golf, nel lavoro, nella vita, se completi correttamente il lavoro, il flusso ti porterà dove deve.

E’ così che il processo diventa magia.

L’unica domanda utile è: ‘ho completato in maniera impeccabile il lavoro essenziale prima di passare alla cosa successiva ?

Se la risposta è sì, con ogni probabilità il risultato sarà buono. Se non ti senti a posto, capirai che non hai fatto tutto quello che potevi o dovevi.

Il completamento libera energie. Renderle disponibili ed usarle significa, per es., non perdersi in chiacchiere. Non perdersi in chiacchiere nel golf significa evitare sprechi nei punti cruciali di connessione del tuo swing e convogliare tutte le energie sulla palla. In quei punti di connessione non ci devono essere “chiacchiere”. Una piccola oscillazione del polso o una manovra extra al culmine del backswing sono l’equivalente golfistico delle “chiacchiere”. I movimenti non indispensabili fanno perdere tempo ed energia, e non realizzano alcun progresso verso l’obiettivo. Se osservi attentamente Tiger Woods colpire la palla, non vedrai nessuna di queste parti perdersi in convenevoli e chiacchiere. Non ci sono inutili micro-movimenti. E’ un tutto unico dolcemente armonioso.

Ad ogni swing della nostra vita ci troviamo di fronte sempre alla stessa scelta: possiamo immergerci nel processo finché non l’abbiamo completato in maniera impeccabile o possiamo saltare in avanti per sbirciare il risultato. Qualunque scelta faremo, avremo sempre ragione, ma non sempre avremo il risultato voluto. Ci sarà sempre qualcuno che pagherà il prezzo del lavoro lasciato in sospeso.

Se ti affidi al flusso, quando alla fine controllerai i risultati, scoprirai di aver creato qualcosa di quasi perfetto.

Essere indaffarati non vuol dire produrre risultati. E continuare a dare la colpa agli altri significa non poter contare ancora su sé stessi.

Quindi: niente chiacchiere, concentràti sul completamento, e il lavoro si farà da sé.

Il bruco ha tempi ben definiti per diventare farfalla. Forzando la mutazione della crisalide se ne ‘sporca’ il naturale processo, e tutto si conclude senza lieto fine.

Natura non facit saltus’.

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(*) “I tre segreti del gioco del golf” di Gay Hendricks