A PROPOSITO DI COMPETENZE

A PROPOSITO DI COMPETENZE

Se avessi otto ore per tagliare un albero, starei sei ore ad affilare la lama.” #(A. Lincoln)

1992, #Università di Stanford.

Alla proposta di candidare un professore a nuovo membro del consiglio di facoltà, un docente sbotta: “Non mi interessa se ha vinto il #Nobel. Non voglio stronzi a rovinare il nostro gruppo !”.

E’ a questa banale circostanza vissuta in prima persona cui #Robert Sutton si collega per spiegare la scintilla che, dopo oltre dieci anni, sulla scia di un suo articolo pubblicato su #HBR, l’ha spinto a scrivere uno dei suoi libri più famosi.(*) Il tema – purtroppo ancora oggi diffuso – è quello degli atteggiamenti e dei comportamenti ostili, settari, arroganti, prepotenti che si vivono, a diversi livelli, in organizzazioni e gruppi di lavoro di qualsiasi settore.

Per molto tempo questo argomento è stato considerato un aspetto superfluo, un di più rispetto all’imperativo della produzione-a-tutti-i-costi nella convinzione che ‘quello che conta sono solo le competenze tecniche’, che il ‘caratteraccio di chi ha grandi capacità può essere sopportato‘ e che – anzi – ‘proprio perché è bravo può permettersi di averlo’. Se poi si tratta del capo…

Ad una attenta analisi, però, la prospettiva è diversa.

I dati dimostrano che questo clima aziendale cambia naturalmente l’atteggiamento delle persone perché fa scattare in chi lo vive una sorta di ‘click mentale’ che provoca minor dedizione al lavoro, minor impegno, isolamento e distacco, con conseguenze che ricadono sull’organizzazione tutta.

Nelle aziende – si sa – i successi sono quasi sempre il risultato di creatività, scintille, idee che si generano quando le persone si sentono rispettate e integrate, sono in armonia con i colleghi, vivono un ambiente che, grazie anche alle quotidiane sfide, favorisce una sana e cooperativa competitività. E’ grazie a questo clima che le persone compiono volontariamente quegli ‘sforzi discrezionali’ non richiesti che sono alla base dei veri successi, quelli duraturi. Se questo clima si altera, se la persona viene mortificata, si sgonfiano entusiasmo e partecipazione, e il meccanismo si inceppa.

L’argomento dev’essere affrontato con lucidità e apertura mentale, senza lasciarsi ingannare da sporadici risultati positivi ottenuti da qualche team guidato da capi-macho. Basta dare tempo al tempo per constatare che in questi casi si tratta solo di successi temporanei accaduti non grazie, ma nonostante quel clima, le cui criticità si manifestano poi nel medio-lungo andare.

Insulti velati, atteggiamenti arroganti e prepotenti, gratuito sarcasmo, pesanti mortificazioni, disparità di trattamento: serve proseguire ? Chi ha avuto esperienze simili sa bene di cosa si tratta.

Le persone non sono insensibili, re-agiscono naturalmente e a risentirne è tutto il sistema perché – anche se spesso ce lo dimentichiamo – il sistema è fatto dalle persone. E’ vero che le competenze tecniche e professionali sono importanti, ma non lo sono così tanto da imporre un prezzo alto com’è quello creato da un clima violento dovuto ad un totale analfabetismo relazionale. La guerriglia interna non può essere l’unica moneta di scambio. Ecco perché le aziende che proteggono gli stronzi rischiano molto.

Purtroppo sono ancora molti i gruppi di lavoro la cui guida è impostata sul vecchio paradigma stantuffo-martello, tipico dell’#era industriale, applicato anche alle persone, ma il mondo, nel frattempo, è andato avanti. L’#era della tecnologia prima e quella delle informazioni poi hanno oggi lasciato il campo all’era delle relazioni e la sfida si gioca sull’efficacia operativa, un modello impostato – sì – sulla miglior combinazione possibile fra quantità e qualità, ma con la persona al centro.

In effetti, a ben vedere, non è mai stato vero che è più forte chi urla di più, e che gentilezza, educazione e rispetto sono segno di debolezza. Anzi, molte storie raccontano che è proprio grazie a questi atteggiamenti che si è acquisito autorevolezza e stima, cristallizzato la leadership, rafforzata la squadra, allineati comportamenti e valori…e salvata l’azienda.

Ancor di più oggi, a parità di competenze tecniche, la differenza la fa chi sa toccare le leve giuste, usa la forza del linguaggio, il potere persuasivo della relazione ed è capace di mantenere nettamente separati persona e argomento. La sfida non è più sul cosa, ma sul come, tanto che gli attuali processi di selezione del personale considerano la capacità di sapersi relazionare come una competenza professionale importante al pari di tutte le altre.

In un mondo in continuo cambiamento e in piena globalizzazione, con culture, caratteri, abitudini, stili di vita, tradizioni che si mixano, le sole competenze tecniche – pur importanti – diventano un pre-requisito e puntare tutto solo su queste è estremamente rischioso.

E’ tempo quindi di cambiare paradigma e superare la vecchia e pericolosa equivalenza complessa. Si prospettano tempi duri per chi non si adegua.

Attenzione: nessuno vuol trasformare i gangli vitali delle aziende in zone franche di buonismo. E’ ovvio che il sapere – #conoscenza – è e rimane importante, il saper fare – #competenza – lo è ancor di più, ma oggi è determinante il saper far fare: la consapevole, equilibrata ed efficace maestria nel saper governare le relazioni è la vera chiave di volta. Non c’è altra via.

Certo, i nuovi inizi comportano un’evoluzione di pensiero e un ampliamento di visione, di solito partendo dal ‘più-piccolo-primo-passo-possibile’.

Ma come ?

Innanzitutto, ampliare la selezione ad altri aspetti oltre alle competenze tecniche è un aspetto decisivo per il futuro delle organizzazioni. Una valutazione della persona a 360° serve per analizzare in dettaglio talenti e abilità, disponibilità a mettersi in gioco, a sapersi integrare e a voler crescere non solo professionalmente, ma anche personalmente. E’ necessario individuare le potenzialità e prevedere per queste percorsi di formazione e sviluppo.

In una squadra sportiva, in un’azienda, in uno studio professionale, in un ufficio di management, chi agevola il lavoro dei propri cinque-dieci colleghi è cinque-dieci volte più intelligente, efficiente, efficace, produttivo, redditizio, utile e genera plusvalore per tutto il sistema.

Rendersi conto soltanto a posteriori – cioè, spesso a danni ormai fatti – di quanto sia stato grave aver sottovalutato questi aspetti, pensando che la sola maestria tecnica, pur importante, potesse da sola bastare per far girare senza intoppi la macchina, è un lusso che ogni organizzazione di lavoro non può più permettersi.

Perciò, l’unica domanda veramente importante è: l’imprenditore, con la sola sua struttura, se non dispone di adeguati strumenti, tecnologie, know-how e qualificate professionalità, può garantire la scelta della risorsa giusta ?

In teoria, forse sì, ma solo in teoria, e con un grande forse.

In pratica, la risposta è: no, non può. La posta in gioco è troppo alta. Diventa fondamentale l’affiancamento di professionisti esterni qualificati che aiutino non solo a trovare la persona giusta, ma la persona ‘più giusta’ per quella organizzazione.

Questa fase rappresenta un momento talmente delicato e decisivo che non può avere come unica discriminante il prezzo della consulenza. Non serve chiedersi quanto costa farsi assistere, quanto piuttosto è saggio chiedersi quanto costa non farlo, perché in questo caso superficialità ed approssimazione rischiano di trasformare questo momento in un bagno di sangue.

Note sono le conseguenze di simili errori: eccessivo turnover, produttività e redditività in calo, tempo e denaro sprecati a causa dell’illusorio risparmio, smarrimento del focus, perdita di immagine oltre che di quote di mercato.

E tutti perdono.

HR Italia#, grazie ad uno staff qualificato di professionisti con esperienza maturata negli anni, è in grado di aiutare le aziende nella selezione della figura più adatta al profilo ricercato.

A volte, non ottenere ciò che si vuole è un incredibile colpo di fortuna.” #(Dalai Lama)

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(*) #‘Il metodo antistronzi’ (‘The No Asshole Rule’), ed. Elliot