LE EMOZIONI DI RILEY

LE EMOZIONI DI RILEY

Un frenetico turbinio di emozioni l’assale alla notizia che i genitori vogliono abbandonare la campagna dove lei è cresciuta per trasferirsi in città. #Riley avverte #rabbia mista a #paura, #tristezza ed anche #disgusto perché si sente impotente, non sa cosa l’aspetta. La sua vita, fino a quel momento serena e gioiosa, sembra stia di colpo per cambiare, e per questo è smarrita. Non sa cosa fare, ma non c’è niente da fare perché i genitori ormai hanno deciso.

Riley inizia quindi la sua personale guerra contro il mondo e un giorno, presa da un vortice emotivo incontrollabile, sceglie la soluzione più ovvia per l’essere umano: quella di fuggire di fronte agli eventi. Decide così di abbandonare la città e i genitori per tornare indietro, per recuperare il suo #Paradiso perduto.

Ma proprio quando crede di avere trovato la soluzione, mentre sta percorrendo la strada che la conduce alla stazione per fare ritorno alla sua campagna, viene improvvisamente colta da una sensazione di tristezza che si apre ad un misto di emozioni contrastanti da cui nascono nuovi dubbi: sta davvero facendo la cosa giusta ?…ritroverà la felicità ?…riuscirà davvero a ricostruire da sola il suo magico mondo ?

Ecco che la #felicità per la soluzione intravista – la fuga – si trasforma in paura di sbagliare, in rabbia per l’insicurezza del passo che sta per compiere. Un inaspettato pensiero è in arrivo. Rallenta l’andatura, accenna un timido sorriso, che lentamente le si apre pieno sul volto. Si ferma e decide di fare marcia indietro, rinunciando al suo proposito.

Il suo puzzle si è composto di una nuova luce…cos’è successo ?

Riley ha avvertito qualcosa di nuovo, ha superato il proprio tsunami interiore, ha visto opportunità dove prima vedeva solo muri, ed ha accettato il cambiamento. L’ha fatto grazie ad un nuovo sentire, riuscendo a combinare emozioni fra loro contrastanti che ha avuto il merito di lasciar fluire in modo non giudicante, accettandole e vivendole appieno, e individuandone di nuove. La tristezza – quasi sempre etichettata negativamente – si colora di nuovi toni e gioca stavolta un ruolo positivo perché regala a Riley una nuova visione.

Il film è una potente ed intelligente metafora che fa luce sulle emozioni e su quanto queste giochino un ruolo determinante in ogni fase della nostra esistenza, in ogni contesto, in ogni momento.

Senza scomodare #Ekman, #Friesen, #Lange, #Cannon, #Goleman e tutti gli studiosi ed esperti che su questi temi hanno illuminato le nostre vite, è interessante indagare come le emozioni, combinate fra loro, intreccino elementi antropologici, etnici, culturali, spirituali, sociali, geografici e si ricongiungano con il linguaggio, facendone così nascere sempre di nuove in un percorso evolutivo che apre nuovi orizzonti.

L’affascinante tema riguarda la granularità emotiva, un’abilità che si raggiunge affinando sensibilità emotive e linguistiche in modo da avvertire, riconoscere, apprezzare, definire quei dettagli sottili che, seppur prima face forse intangibili, sono capaci di sviluppare nuove e più raffinate consapevolezze.

In effetti, siamo sempre e solo tristi tout court oppure a volte siamo frustrati o addirittura disperati ? A seconda di come ci sentiamo, siamo sempre arrabbiati o in certi casi proviamo solo un certo disappunto ? Siamo irritati o esasperati ? Di fronte ad eventi specifici, abbiamo solo paura o proviamo angoscia ?

Ecco che la combinazione fra emozioni e linguaggio diventa una potente cartina al tornasole per individuare più precisamente ciò che proviamo. Non si tratta di favorire un linguaggio forbito, quanto piuttosto di riconoscere i diversi gradi di una stessa emozione-base al fine di intercettare precisamente quel dettaglio che avvertiamo. In effetti, come esistono diverse tonalità di uno stesso colore, così ci sono diverse gradazioni di una stessa emozione cui corrisponde una parola precisa.

Come molte altre, anche la granularità emotiva è una competenza che può essere acquisita e, se ben allenata, può diventare una vera e propria abilità. Lavorando contemporaneamente sui due fronti della consapevolezza – quello linguistico e quello emotivo – è infatti possibile ampliare la propria esperienza arricchendo il proprio vocabolario di nuove parole capaci di identificare i diversi gradi in cui si può declinare un’emozione. Allenandosi a riconoscere le diverse gradazioni emotive si riesce a coniugarle in modo congruente con il linguaggio.

Sviluppare granularità emotiva può davvero fare la differenza nella propria vita perché, a fronte di situazioni diverse, saremo in grado di prendere decisioni adeguate e magari meno distruttive, affrontando con maggior lucidità situazioni critiche in realtà gestibili senza per forza sentirsi sopraffatti. Studi compiuti al riguardo dimostrano infatti che alla granularità si accompagna spesso un naturale sviluppo della resilienza.

In concreto, quindi, consentendo al cervello di generare in modo più preciso l’emozione più adeguata, la granularità emotiva consente di rispondere alle diverse situazioni risparmiando energie, impiegando cioè la sola quantità di risorse emotive sufficiente al caso specifico, e niente di più. Non è cosa da poco, se si considera che molto spesso la sommaria ed approssimativa etichettatura emotivo-linguistica di un fatto genera reazioni primitive non adeguate o risposte comportamentali non congruenti rispetto alla specifica situazione e a quanto si è avvertito.

Sviluppare granularità emotiva, inoltre, consente di fare anche altri passi in avanti.

Sensazioni ed emozioni nuove, ‘granulari’ e più raffinate possono essere qualificate con parole prima inesistenti. In questo modo la parola stessa, una volta collegata alla specifica emozione, assume una propria natura identificativa e viene immediatamente accettata e riconosciuta grazie all’esperienza vissuta.

E’ sorprendente verificare come nei fatti la nuova emozione venga avvertita, riconosciuta ed accettata dopo che ne è stata individuata la parola corrispondente e spiegato il significato. La scienza insegna infatti che le emozioni sono fenomeni cognitivi che si rifanno a sistemi elastici complessi dipendenti dalla natura biologica e dalla cultura’, e non sono solo un riflesso automatico del corpo. Per di più, una volta imparata la nuova parola per descrivere il dettaglio dell’emozione, diventiamo anche capaci di avvertire ancora nuove sensazioni, nascenti dalla granulare emozione appena provata.

In tutte le latitudini esistono oggi molti esempi di parole specifiche che si riferiscono a sensazioni più raffinate e granulari, prima inesistenti: dalla gallese ’hwyl’ (esuberanza, leggera euforia di quando si è tutti insieme) alla francese ’baxoresia’ (bisogno improvviso di baciare qualcuno), da ‘iktsuapork’ tipica della lingua inuit della Groenlandia (sensazione di attesa di quando si sta aspettando qualcuno) alla spagnola ‘verguenza ajena’ (sincero disagio che si prova nel vedere qualcuno in evidente imbarazzo in pubblico). Ed ancora altre ne esistono, ognuna per intercettare una specifica sensazione vissuta da giapponesi, tedeschi, olandesi, russi, fino ad arrivare agli abitanti della Nuova Guinea.(*)

La cosa eccitante è che non solo nascono nuove parole perché il corpo avverte nuove emozioni, ma che il linguaggio, scelto per descrivere una nuova emozione fa a sua volta nascere ulteriori nuove emozioni e sensazioni e che queste cambiano in funzione di aspetti soggettivi, ivi compresi valori, aspettative culturali, credenze. Una parola scelta per descrivere una stessa emozione, a seconda delle latitudini, genera aspettative diverse e provoca emozioni e sensazioni differenti.

In base a ciò, infatti, Goleman sostiene che per sviluppare una vera intelligenza emotiva è imprescindibile indagare il linguaggio al fine di scoprire cosa la parola contiene in termini non solo di significato, ma di valori, identità, abitudini, credenze, comportamenti.

Da qui – poi – potrebbe iniziare la seconda parte del nostro viaggio – altrettanto interessante – per verificare quale tipo di connessione abbiamo costruito con noi stessi avendo declinato le parole in un modo piuttosto che in un altro e quali emozioni siamo stati capaci di costruire, vivere, sentire.

Le sorprese potrebbero non finire…

Il linguaggio, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno”. (Jacques Lacan)

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(*) Tiffany Watt Smith, storica culturale, docente presso la #‘Queen Mary University di Londra, membro del comitato direttivo del #‘Centre for the History of the Emotions’.